Di Graziella Graceffa
Dott.ssa pedagogista
Il
continuo perpetuarsi di pubblicità, film, fiction, cartoni animati e videogiochi
a sfondo violento contribuiscono in larga parte ad un innalzamento della
soglia di tolleranza verso la violenza, le prepotenze.
L’esposizione prolungata
a rappresentazioni di stile negativo influenza gli spettatori fin dalla
prima infanzia. I protagonisti di film e fiction sono per i ragazzi modelli
da seguire ed imitare per via del loro successo e dell’ammirazione che suscitano
tra i coetanei, e rappresentano un esempio vincente - e per questo attraente - da seguire indipendentemente dal messaggio che veicolano o dallo
stile di vita che rappresentano.
In questo modo, eroi e contro-eroi mediatici
agiscono sullo spirito di emulazione, tanto importante in adolescenza,
e contribuiscono a formare personalità slegate dalla realtà che vivono e
si relazionano come se fossero in un film. Più che puntare il dito contro i
media, sarebbe opportuno educare ad una fruizione consapevole, critica ed
attenta dei programmi televisivi.
Troppo spesso però i ragazzi vengono lasciati
soli di fronte allo schermo, eliminando di fatto la possibilità di un’educazione
che passi dall’abitudine ad interpretare i messaggi e non di assumerli
senza porsi domande, di discutere con gli altri quello che si vede e, in
sostanza, di essere vigili ed attenti rispetto a ciò che viene assimilato da ragazzi.
La
televisione, per svolgere correttamente tale funzione, dovrebbe essere utilizzata
con metodologie rigorose. Lo strumento televisivo non dovrebbe mai assumere la
funzione di cattiva maestra e educare, in tal modo, alla violenza. Il bambino
trascorre mediamente davanti al televisore un tempo eccessivo, con conseguenze
sicuramente negative; ciò succede, spesso, anche perché, mentre i genitori
lavorano, i figli devono confrontarsi e misurarsi da soli con i messaggi
televisivi.
Gli effetti di tale prassi hanno un riscontro sul piano fisico (i
piccoli hanno bisogno di movimento e di spazio) e sul piano cognitivo (i
bambini necessitano di attivare l’intelligenza pre-operativa, mentre la
televisione fornisce loro informazioni disorientanti e incerte sul piano
emotivo).
I
bambini sono, in tal modo, costretti ad accumulare tensioni e frustrazioni che,
superando la soglia di sopportazione, si trasformano facilmente, se non sublimate,
in forme d’aggressività.
Lo
studioso John Condry, a tal proposito, nel saggio "Ladra di tempo, serva infedele
(1994)" ha sostenuto che i messaggi dei programmi televisivi producono una
violenza superiore alla realtà quotidiana. La famiglia, collaborando con la
scuola, dovrebbe, perciò, essere chiamata in causa, per attutire l’impatto dei
contenuti dei programmi televisivi sull’infanzia.
Karl Popper ha sostenuto che serve una “patente” per fare tv, per gli operatori della comunicazione, e
concessa a coloro che, dopo un rigoroso “corso d’addestramento”, superino un
esame; andrebbe ritirata a chi non si attiene alle regole fissate. Gli operatori
della televisione devono essere consapevoli di essere coinvolti in una forma
d’educazione di massa: essi devono agire come educatori, perché la televisione
porta le sue immagini sia davanti ai bambini e ai giovani sia davanti agli
adulti.
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