Le suggestioni legate alla Settimana Santa, spingono a chiedersi come il cinema abbia raccontato la passione, la morte e la resurrezione del Cristo. Non si ha, in questa sede, alcuna pretesa di completezza ed esaustività nel riferire sul cinema che si è confrontato col più Santo dei temi che, proprio in virtù della sua natura Assoluta, non è stato mai semplice da raccontare.
Come spesso accade nell'esperienza artistica, che risulta più intensa quando suggerisce che quando spiega in modo eccessivamente esplicito e "didascalico", anche nel raccontare la storia del "Figlio dell'uomo" i film più riusciti e memorabili sono quelli in cui gli atti e il messaggio del Cristo sono solo evocati, quasi restano sullo sfondo, diventando sublime cornice in grado di conferire un significato superiore alla vicenda centrale rappresentata. Muovendo da tale premessa, il capolavoro di William Wyler del 1959, Ben Hur (uno dei tre film della storia ad aver vinto 11 Oscar, gli altri due sono Titanic e Il Signore degli anelli - Il ritorno del re.) risulta paradigmatico: il protagonista, l'ebreo Giuda Ben Hur, legato da amicizia all'ufficiale romano Messalla, si rifiuta di tradire la sua gente per compiacere l'impero e favorire la carriera dell'amico. Pagherà la sua scelta nel modo peggiore,la madre e la sorella finiranno nella valle dei lebbrosi,lui su una galea.
Nel momento cruciale della sua vita si imbatte in un uomo che gli salva la vita dandogli dell'acqua. Quell'uomo è ripreso di spalle. Lo spettatore vede solo gli effetti che riesce a suscitare sul volto del protagonista che ritrova le forze guardandolo, essendo così chiamato a immaginare la soavità di quella figura divina che la macchina da presa non può banalizzare fermandola su pellicola. Lo spettatore, con la sua anima, riempie il vuoto volutamente lasciato dall'arte. La sagoma umana di quell'uomo cela il mistero e la bellezza di Gesù. Nel cinema di oggi una scelta estetica ed etica del genere sarebbe molto coraggiosa e faticherebbe ad essere accettata soprattutto dai giovani sempre più abituati a vedere tutto, e sempre più disabituati ad immaginare ed astrarre.
Ben Hur si apre con la visita dei Magi a Gesù appena nato, suggerendo che tale personaggio avrà un peso nella storia del protagonista. Oltre alla scena già descritta, ciò avviene anche nel finale, in cui Ben Hur ritrova colui che lo aveva salvato con un sorso d'acqua diversi anni prima, appesantito dalla croce, diretto verso il Calvario, per le strade di Gerusalemme. L'emozione stringe il cuore dello spettatore: stavolta la posizione dei due personaggi è capovolta. Gesù è a terra agonizzante e Ben Hur lo soccorre con un sorso d'acqua, ma anche stavolta lo spettatore vede solo Ben Hur e gli effetti che su di lui scatena la visione di quel condannato ad una morte di croce deputata ingiusta dal protagonista che sa di essere vivo perché quello sconosciuto l'ha salvato.
Tra i due si è creato un legame fortissimo. Ben Hur ha vissuto gli ultimi anni della sua vita solo per vendicarsi dell'amico-nemico Messalla, che ha ucciso nella leggendaria scena della corsa delle quadrighe. Gesù vuole insegnargli la strada della pietà, della fede, della misericordia, della grazia. E lo fa con un ultimo miracolo: morente sulla croce, Gesù dona la guarigione dalla lebbra alla madre e alla sorella di Ben Hur. La resurrezione di Cristo avviene ogni volta che un'anima viene salvata dalla disperazione.