lunedì 24 agosto 2015

Raddrizzare un ramo storto: il pericoloso malinteso del dibattito sul "pericolo gender"

Un nuovo intervento del prof. Alberto Pellai, ispirato dalla lettura del libro "Non amate troppo Dio! La felicità è anche di questa terra", di don Gino Rigoldi.

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Ho appena terminato di leggere il libro di Don Gino Rigoldi: “Non amate troppo Dio. La felicità è anche di questa terra” (Rizzoli Ed.) E’ un libro che lancia un messaggio chiaro e inequivocabile, soprattutto in tempi di grandi integralismi come quelli attuali. Il titolo del volume, in questo senso, è emblematico: amare Dio non significa rifugiarsi in un mondo staccato dal tutto ciò che è terreno, affermare una Legge con la L maiuscola, differenziarsi da tutto ciò che sembra differente o non adeguato, non “omologato” a ciò che dai tempi dei tempi è stato affermato come bene e verità assoluti. Bensì, Amare è prendersi in carico la propria vita con un’attenzione a sé e agli altri, incontrare ciò che ci è prossimo, essere presenti nel “qui ed ora” ai bisogni propri e dell’Altro. Questo vale in tutte le relazioni, anche e soprattutto in quella tra genitori e figli. Proprio rispetto al ruolo genitoriale, Don Rigoldi scrive delle frasi che mi sembrano cruciali all’interno del gran parlare (e straparlare) che si fa intorno al tema del gender. “La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che scappano di casa dicono che i genitori non li capiscono. E questo avviene perché non vengono presi in considerazione i loro sogni e i loro desideri, le disposizioni che manifestano ogni giorno e che loro per primi hanno bisogno di imparare a capire e riconoscere. Per farlo occorre avere occhi attenti e sinceri, mentre noi adulti ci barrichiamo troppo spesso dietro un concetto di educazione che sembra rifarsi all’immagine di rami storti che devono essere raddrizzati. Abbiamo la nostra idea di ramo dritto e ci sembra che a questa debba adeguarsi la forma dei nostri figli. Ma si tratta di un’idea profondamente sbagliata, oltre che irrispettosa dell’individualità dei ragazzi. e poi, se anche volessimo mantenere la metafora arborea, non dovremmo sottovalutare che, a forza di manometterlo, un ramo si spezza. Non a caso il suicidio tra i giovani è sempre legato alla sensazione di non essere in grado di vivere secondo quanto viene richiesto loro dai genitori o dalla comunità in cui sono inseriti. Chi di noi non ha mai sentito qualcuno dire a proposito del proprio figlio: “Meglio morto che omosessuale”? non c’è frase migliore per rappresentare la mancanza d’amore. Di tutti gli adolescenti che ho incontrato, posso dire che i più disperati erano quelli che in famiglia non vedevano riconosciute le loro predisposizioni e i loro sogni, costretti a scegliere tra una vita che non riconoscevano come propria (ma che aveva il sostegno della famiglia) e una vita che rispondeva alle loro aspirazioni (ma che veniva condannata dalla famiglia). Mettere un ragazzo di fronte ad una scelta così assurda, se cioè rendere felici i genitori o se stesso, significa spesso impedirgli di realizzare tanto l’una quanto l’altra felicità: deve tradire se stesso o i genitori? In ogni caso, la scelta si porterà dietro un rimpianto che non si risolverà facilmente”.
Sono le parole di un sacerdote e le trovo davvero illuminanti. In molti casi, a me gli integralismi, sembrano i risultati di posizioni astratte di persone che sentono il bisogno di “raddrizzare un ramo storto” anche a costo di spezzarlo. Spesso si tratta di persone che non hanno davvero incontrato il “mistero” che sta chiuso nel cuore dell’altro. Un Mistero così enorme che non può essere rinchiuso in uno slogan, che dentro ad una piazza fa rumore e magari fa notizia. Ma che dentro alla fatica di una vita, invece, può fare danni enormi. Non pensate anche voi che sia proprio questo il nocciolo della questione che in tutti questi mesi ha reso impossibile il dialogo tra “gender” e “non gender”? Non sarebbe ora di parlare di uomini, vite, rispetto? Non pensate che sia giunto il momento di smetterla con editti, divieti, circolari da far firmare, permessi e autorizzazioni da richiedere, proteste? La vita e i suoi misteri non possono essere raccontate con uno slogan.

L'ARTICOLO è TRATTO DALLA PAGINA FACEBOOK DI ALBERTO PELLAI PER CONCESSIONE DELL'AUTORE.
LA PAGINA LA TROVI AL LINK RIPORTATO IN BASSO:


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