Articolo della dott.ssa Elena Ruzza - Insegnante
“Amare
chi impara”.
Massimo Recalcati
Giornata di studio rivolta agli insegnanti
E’ un sabato mattina a Pavia e ad ascoltare le
parole di Massimo Recalcati, noto psicoanalista e autore di numerosi testi, c’è
un pubblico di maestre, professori, ma anche qualcuno non addetto ai lavori nel mondo della scuola.
Si tratta di un pubblico motivato e ‘pronto a
combattere’, ma questa lezione ascoltata
nella sala del camino del Broletto destabilizza e disorienta.
Reinventa e
ridisegna la scuola e i suoi soggetti principali.
Recalcati non aggiunge nulla rispetto a quanto
ognuno sa sull’argomento scuola ed educazione, ma ha il grande pregio di
rendere consapevoli di quello che l’insegnante
è, o ha smesso di essere e potrebbe cominciare a pensare di diventare, dopo aver
riflettuto sulle tematiche affrontate nel suo discorso a commento del libro
“L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento”.
L’argomento principale è infatti "come ci salva dall’usura
dell’insegnamento?" Come si può abitare la ripetizione di una scena che
continuamente si ripete?
La risposta che viene data da Recalcati è ‘ricominciare’. Saper ricominciare trovando
la forza soggettiva, ogni volta, di ripartire dal principio.
Questa soluzione scatena quasi indispettita la domanda: “Come
può lo stesso Insegnante ricominciare di nuovo ogni volta?”
Le armi sono due: la parola e l’amore.
Ogni volta, attraverso la parola, l’insegnante spiega quello che sa. Ed ogni
volta sono proprio le parole della sua lezione che hanno il potere di essere
nuove, di trasformarsi in un sapere univoco, ma mai uguale.
Diceva Gentile: “ho fatto
una buona lezione solo se alla fine ho imparato anche io qualcosa”.
Un insegnante quando spiega si diverte ed è capace di
improvvisare tanto quanto sa rimanere ancorato al contenuto della sua
disciplina.
Questa pratica è certamente
rischiosa se si pensa alla possibilità di poter perdere il filo di un discorso oggettivo,
ma è la sola capace di attraversare di nuovo le parole di una lezione
altrimenti sempre uguale a se stessa.
Amore
Recalcati parla di una dimensione erotica del sapere. L’amore e
la passione per il sapere sono paragonabili all’amore erotico per un corpo. Il
desiderio, l’odore della carne, il profumo dei capelli sono le stesse concrete
sensazioni da provare nel rapporto con la disciplina che si insegna. Per
insegnare bene dunque bisogna amare la propria materia. Se un insegnante
ha questo rapporto erotico con ciò che insegna, trasforma l’allievo da
recipiente ad amante, viene acceso, messo in movimento.
Recalcati sostiene poi l’importanza di “preservare il giusto posto dell’impossibile”, l’unico
capace di “erotizzare” il sapere.
Chi insegna si occupa di vite di persone a cui non si deve
trasmettere, chiarire, inculcare, riempire ma far provare quel piacere, davvero
erotico, che mette in atto il sangue, la carne e i peli che si rizzano per
quello che accade, quando un bravo maestro, insegnante, ma anche genitore,
riesce a procurare emozioni a chi gli sta di fronte.
E allora è
indispensabile lo stile. Lo spiega a chiare
lettere: “Ogni insegnante insegna a partire da uno stile che lo
contraddistingue. Non si tratta di tecnica né di metodo”.
Quest’immagine di scuola è lontana da quella reale perché
la scuola per la quale si prova passione e desiderio, quasi carnale, attraverso
la descrizione di Recalcati, è una scuola che apre alle
possibilità, perché chi impara possa, innanzitutto, essere messo nella
disposizione di imparare ad imparare. E chi ha la pretesa di insegnare è nella
stessa condizione. Si tratta di un sapere che si fa e non si soddisfa mai. E’
in continuo divenire. Non è così l’amore?
Nel percorso tracciato da Recalcati, tutti, docenti e
discenti, genitori e figli, ognuno nella propria specificità, vive la
possibilità di cadere, crollare, sbattere. Perdere. Perché quando ci si mette
in gioco, specie nell’arte di educare, bisogna inciampare per
accorgersi come “l’inciampo, il fallimento” rendono
possibile la ricerca della verità.
Ed ecco,
quindi, l’importanza dell’ora di lezione. E’ “quello che resta della Scuola (con
la lettera maiuscola, di contro ad una realtà sempre più sminuita), nel tempo della sua evaporazione”.
L’autore sottolinea anche il gravoso compito della
scuola “a esercitare sempre più la funzione di supplenti di un discorso
educativo che sembra non aver più sostegno né nelle famiglie né nelle
istituzioni”, e che ha reso la stessa “un tribunale morale che deve
sentenziare sui destini dei giovani”, che “pare più simile a quello che Pasolini ha definito ‘il nuovo
fascismo della società dei consumi’”.
Una scuola che
umanizza non prevede la figura dell’insegnante padrone, giudice o che si
riconosce il cattivo ruolo di chi deve cambiare. Piuttosto, si tratta di uno
stile che deve mostrare, a chi si ha di fronte, un modello non da imitare, ma
da mettere sempre in discussione, per provare davvero quell’erotismo, inteso come possibilità di “trasformare gli oggetti del sapere in oggetti del desiderio, in
corpi erotici”: l’emozione veicolata dall’insegnante, mediante la
spiegazione di un testo poetico, che non fa dormire l’alunno; una pagina di
storia che ha suscitato forti preoccupazioni (anche queste sono emozioni) nella
studentessa di fronte; il pianto che può suscitare l’emozione per una bella
pagina di letteratura. Di questo erotismo ha bisogno l’insegnante, lo studente,
il dirigente, ma anche il bidello, la madre, il padre.
Questo genera il vuoto, l’apertura di “buchi nel discorso già
costituito, fa spazio, apre le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie, il
corpo”. Un mondo in cui si realizza quel “transfert”,
dove anche un libro può diventare “corpo erotico” e
un’ora di lezione “può cambiare una vita, imprimere al destino
un’altra direzione”. Nella
certezza e consapevolezza che non è del contenuto del sapere che ci si deve
preoccupare, ma della “trasmissione dell’amore per il sapere”,
per la quale non esistono scuole, maestri o università specifiche ma, secondo “l’erotica dell’insegnamento”, parola e amore.