Un testo di Luigi Pirandello, emblematico per capire la sua poetica, riportato nella novella "La carriola", inclusa nella raccolta "Novelle per un anno". "Conoscersi è morire", sostiene lo scrittore siciliano. Riusciamo a conoscere solo ciò che di noi è "morto", non c'è più. Altrimenti, finché si vive, o si crede di farlo, non siamo in grado di riconoscere la nostra forma.
"Ora la mia tragedia è questa. Dico mia, ma chi sa di quanti! Chi vive, quando vive, non si vede: vive... Se uno può vedere la propria vita, è segno che non la vive più: la subisce, la trascina. Come una cosa morta, la trascina. Perché ogni forma è una morte. Pochissimi lo sanno; i più, quasi tutti, lottano, s’affannano per farsi, come dicono, uno stato, per raggiungere una forma; raggiuntala, credono d’aver conquistato la loro vita, e cominciano invece a morire. Non lo sanno, perché non si vedono; perché non riescono a staccarsi più da quella forma moribonda che hanno raggiunta; non si conoscono per morti e credono d’essere vivi. Solo si conosce chi riesca a veder la forma che si è data o che gli altri gli hanno data, la fortuna, i casi, le condizioni in cui ciascuno è nato. Ma se possiamo vederla, questa forma, è segno che la nostra vita non è più in essa: perché se fosse, noi non la vedremmo: la vivremmo, questa forma, senza vederla, e morremmo ogni giorno di più in essa, che è già per sé una morte, senza conoscerla. Possiamo dunque vedere e conoscere soltanto ciò che di noi è morto. Conoscersi è morire"
(L. Pirandello, Novelle per un anno - La carriola)
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