Nel 1926 Gaetano Salvemini, esule in Francia, scrisse una lettera alla moglie di Giacomo Matteotti, deputato socialista ucciso dai fascisti per aver denunciato, nel giugno del 1924, i brogli elettorali che avevano dato ai fascisti il 65% dei consensi nella tornata elettorale di quello stesso anno.
La riportiamo nella sezione "Educare Narrando" di questo sito perché ci pare davvero uno sprone, per giovani e non più giovani, all'impegno sociale e politico, alla partecipazione attiva e responsabile nella costruzione di un mondo più bello e giusto; nella lotta, insomma, contro i soprusi e le prepotenze di ogni tipo.
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Io attraversai, fra il 1921 e il 1924, un periodo di stanchezza fisica e di depressione morale.
Detestavo i fascisti ma non vevo fiducia negli antifascisti.
Me ne stavo tra i miei libri, risoluto a non entrare più nella politica attiva. Ma quando Lui (Giacomo Matteotti, ndr) fu ucciso, io mi sentii in parte colpevole della sua morte.
Lui aveva fatto il suo dovere: e per questo era stato ucciso.
Io non avevo fatto il mio dovere: e per questo mi avevano lasciato stare.
Se tutti avessimo fatto il nostro dovere, l'Italia non sarebbe stata calpestata, disonorata da una banda di assassini.
Allora presi la mia decisione. Dovevo ritornare ad occupare il mio posto in battaglia.
Ed ho fatto il possibile per attenuare in me il rimorso di non aver sempre fatto il mio dovere.
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