Eleonora Bertolino, insegnante e giornalista, ci fornisce questa interessante intervista al dottor Marco Paolemilli, Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, Dottore di Ricerca in Neuroscienze clinico sperimentali e Psichiatria sul tema riportato nel titolo: "Psiche, scuola e società ai tempi del COVID-19"
Mascherine,
guanti, distanziamento sociale: questi i tre slogan che ormai da qualche
settimana si possono leggere ossessivamente in ogni angolo d’Italia, dalle
strade ai cartelli fuori dai negozi, dai ristoranti e bar ad ogni luogo di
aggregazione sociale. L’Italia è ripartita a rilento, si sta piano piano
risollevando da un incubo durato tre mesi ma che ancora non ha fine: la fase
due si porta dietro problematiche economiche, sociali e psicologiche che solo
ora stanno affiorando in tutta la loro tragicità.
Ogni settore
della società è stato sconvolto e si è dovuto riorganizzare in qualche modo con
conseguenze spesso deleterie per l’intero popolo italiano: dalle attività in
proprio alle aziende, dallo sport alla cultura, dalla scuola al divertimento ma
non solo. Ognuno di noi ha subito uno stravolgimento totale della propria vita
che ci ha cambiati per sempre. Cosa ne sarà di noi esseri umani abituati alla
totale libertà e obbligati, da tempo, a seguire regole ferree per la
salvaguardia delle nostre vite? Cosa è cambiato realmente? E ancora…Cosa
accadrà nell’immediato futuro alla società?
Abbiamo voluto
indagare meglio e chiedere un parere medico a chi, di mente e di psichiatria,
se ne intende molto bene.
Il Dottor Marco
Paolemili è Psichiatra e Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale, Dottore di
Ricerca in Neuroscienze clinico sperimentali e Psichiatria, docente del corso
di Psichiatria nel Corso di Scienze Infermieristiche dell'Università di Roma
"Tor Vergata", Dirigente
Medico di I livello presso il Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma 3, Presidente
e fondatore dalla Onlus "Mens Sana" per la salute e il benessere
mentale, che si occupa di assistenza psicologica e psichiatrica per minori,
famiglie e adulti.La sua esperienza come Psichiatra e Psicoterapeuta riguarda
in modo particolare i disturbi dell'umore, i disturbi d'ansia, le dipendenze, i
disturbi psicotici, e i disturbi legati all'invecchiamento (memoria, demenza,
depressione dell'anziano).
Dal
mese di marzo 2020 la vita di molti italiani è stata totalmente stravolta.
Dalla totale libertà si è passati ad una sorta di arresto domiciliare
complessivo. Il popolo intero si è ritrovato chiuso in casa a causa della
pandemia causata dal Covid19, questo strano e nuovo virus che è piombato in
Europa improvvisamente e senza preavviso (o almeno così ci hanno informati).
Se
all’inizio il popolo italiano ha accettato senza problemi il periodo di
reclusione forzata, riscoprendo il valore della famiglia, del focolare
domestico, la voglia di cucinare, stare con i figli, i cartelli “Ce la faremo,
andrà tutto bene, distanti ma vicini”, i canti sul balcone, il senso di unione
ravvisabile su tutti i social, dopo qualche settimana tutto questo per molti si
è trasformato in prigionia. L’assenza di libertà totale, la privazione dello
sport, il divieto di vedere amici, parenti, congiunti: pian piano tutto è
diventato un incubo.
Le
chiedo, dunque, quali siano state le prime conseguenze a livello psicologico di
questa “detenzione” forzata: perché il popolo all’inizio ha reagito bene ma con
il tempo tutto è cambiato? Quali processi si sono innescati nella psiche?
«Gli esseri
umani non sono fatti per passare tutto il loro tempo nella propria abitazione,
siamo degli animali sociali, fin dall’alba dei tempi abbiamo basato la nostra
sopravvivenza e la nostra incredibile evoluzione sui rapporti sociali. Basti
pensare che il ritiro sociale, la riduzione o l’annullamento dei rapporti
sociali sono sintomi di gravi patologie psichiatriche, come le psicosi o la
depressione maggiore. La nostra esistenza, così come il nostro cervello, sono
stati privati di stimoli fondamentali in questo periodo di lockdown, andando
incontro a disagio psicologico. Lo stress psicologico delle restrizioni,
accompagnato alla comunicazione istituzionale e non, riguardo alla pandemia,
caratterizzata da messaggi inquietanti, discordanti, catastrofici hanno
prodotto emozioni e sentimenti di ansia, paura, rabbia e impotenza. Non abbiamo
avuto certezze, soprattutto perché gli esperti non avevano ancora compreso
sufficientemente come si sarebbe evoluta la situazione dei contagi e di
conseguenza neanche le istituzioni hanno potuto reagire con provvedimenti che
infondessero sicurezza o percezione di capacità di gestire l’emergenza. La
paura è una emozione molto potente, che se non controllata può portare a
conseguenze molto gravi, personali e sociali. Se parti per una corsa senza
sapere quando questa finirà, è inevitabile non sapere come dosare le forze. Il
tempo passava, la situazione non migliorava, risposte ferme non ne arrivavano.
Le energie così, intese come speranza, unione, collaborazione, si sono esaurite
in fretta e hanno lasciato il posto alla fisiologica risposta che ha l’essere
umano in una fase di pericolo: ansia. La mancanza, di conseguenza, di stimoli
positivi ha portato alla consapevolezza dell’impotenza e della impossibilità di
progetti futuri: depressione».
Parliamo
di famiglie e scuola. Immediatamente dopo lo scoppio della pandemia, è iniziata
questa famosa DaD, didattica a distanza. Tanti gli errori commessi all’inizio,
la totale confusione tra genitori e docenti, la dispersione degli alunni. Dopo
le difficoltà iniziali, le cose sono migliorate ma sono aumentanti i disagi
familiari: molti genitori, infatti, si lamentano che i figli sono stressati,
che non riescono a seguire le lezioni online, che stanno subendo, in alcuni
casi, danni psicologici. Quanto c’è di vero nelle parole dei genitori? E in
quelle dei docenti? Cosa è stato veramente sbagliato sin dall’inizio in questa
forma di insegnamento innovativa? Troppa permissività, tanta confusione, poca
esperienza da parte degli insegnanti o dei genitori? Se si può parlare di
colpe, a chi attribuirle? Alle famiglie, ai docenti o alle tecnologie? Come
cambierà la scuola italiana dopo tutto questo?
«I bambini hanno
una grande capacità di memorizzare e apprendere, ma anche una bassa durata
dell’attenzione. La didattica a distanza, che esiste da molti anni, è stata
progettata e attuata con successo per gli studenti più grandi. Le università
prestigiose hanno ottimi corsi a distanza e anche le scuole superiori più
avanzate ne avevano già ideati da anni. Per individui più piccoli però,
l’ambiente scolastico, l’interazione sociale è stata sempre fondamentale per
l’apprendimento. La capacità di attenzione è, appunto, il problema. Impossibile
pensare che un bambino di tre anni, ma anche uno di otto, possa stare ore al
computer (tra l’altro non abbiamo sempre detto che non era salutare passare
troppo tempo davanti a uno schermo?). Già conoscevamo i limiti della didattica
formale tradizionale, trasportarla e veicolarla poi attraverso uno schermo era
un disastro annunciato. Programmi di educazione a distanza per i più piccoli
dovevano essere creati con contenuti interattivi, con stimoli diversi, realtà
aumentata, giochi. Lo sapevamo già. Di cartoni animati, programmi televisivi,
app per smartphone e tablet e per PC di questo genere ne esistono da diversi
anni e funzionano bene. Pensare di mettere una telecamera davanti a una insegnante
e trasformare la cucina o la camera da letto dell’alunno in una scuola, è impensabile.
Non ci sono colpe da attribuire a qualcuno in particolare. Nessuno si aspettava
una pandemia di questo genere e anche con più lungimiranza non saremo stati in
grado di organizzare un sistema complesso in poche settimane. Probabilmente se
la scuola italiana fosse stata più al passo con i tempi (le statistiche
internazionali sono anni che ci avvisano di come stiamo perdendo terreno
nell’istruzione, perché abbiamo sistemi di apprendimento obsoleti, non al passo
con i tempi) sarebbe stato più facile introdurre questi cambiamenti forzati. La
scuola cambierà se avrà la volontà e l’umiltà di andare a guardare le
eccellenze che già abbiamo nel nostro paese e se applicherà quello che si fa in
altri paesi europei».
Il
Covid19 ha messo in ginocchio l’intera economia italiana. I primi suicidi non
sono tardati ad arrivare. Sui social ovunque si intravedono dirette di persone
disperate pronte a commettere reati. Per non parlare dell’aspetto sociale: per
le imminenti riaperture si parla di divisioni, limitazioni e distanze poco
facili da rispettare, in ogni settore. Cosa ci dobbiamo aspettare? Forse il
coronavirus ha semplicemente innescato un malessere che da anni serpeggiava
nella società? Quali sono e quali saranno i danni e le conseguenze a livello
sociale, antropologico, psicologico e psichiatrico causati dalla pandemia? Come
cambierà l’uomo dopo tutto questo?
«I
disturbi depressivi legati alla perdita del lavoro e alle difficoltà economiche
sono già emersi e saranno più evidenti nei prossimi mesi. Chi uccide il Covid19?
Le persone che hanno già situazioni di fragilità di alcuni organi e sistemi
immunitari compromessi. L’Italia era già compromessa prima dell’avvento del
virus e subirà danni perché non ha “difese immunitarie” e sistemi di compenso
in grado di far fronte alla situazione. I reati sono già aumentati, in questo
periodo di difficoltà economica, in mancanza di aiuti adeguati da parte dello
Stato, molte persone si sono dovute rivolgere agli usurai, rafforzando così
ulteriormente la malavita organizzata. Le risorse economiche che il paese dovrà
mettere in campo, proprio a causa di un sistema già in crisi, dovranno essere
ingenti, ma non mi pare che il Governo stia prendendo in considerazione di
riallocare risorse che ha (paghiamo le tasse più alte del mondo) facendo
perdere privilegi a chi già ne ha. Vi saranno più disturbi psichiatrici da
trattare, a causa di queste difficoltà sociali ed economiche, ma il sistema
sanitario nazionale, nelle condizioni in cui è, non sarà in grado di affrontarli
da solo. Per fortuna esiste il terzo settore, esistono tanti professionisti
privati pronti a intervenire, molte persone si rivolgeranno a loro e questo
salverà la società. Non credo tuttavia che l’uomo cambierà molto, forse
rispetteremo di più alcune norme igieniche e sarà un bene perché si
diffonderanno meno malattie, ma di cambiamenti esistenziali non ne vedremo
molti. Con il tempo le restrizioni e i distanziamenti spariranno, torneremo a
fare una vita normale. Tutto sommato è giusto così, questa, come tutte le altre
pandemie, aiuteranno la scienza e la medicina a trovare nuove soluzioni,
miglioreranno la nostra vita senza che noi (a parte gli addetti ai lavori) ce
ne accorgeremo. È giusto che sia così. Quale insegnamento dovremmo trarre da
questo brutto periodo? Che la vita va vissuta attimo dopo attimo, che il futuro
non è prevedibile e che rimandare a domani le cose a cui teniamo può essere una
cattiva scelta».
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