La riflessione di un'insegnante sul "pensare con la propria testa", su tutti i limiti che una tale affermazione trova nella società della conoscenza. Forse occorre prima conoscere, studiare, informarsi, poi pensare con la propria testa e poi dire cosa si è pensato.
Buona riflessione
C'era un tempo in cui esortavo gli studenti a pensare con la propria testa, a "uscire dallo stato di minorità", rifiutando l'indottrinamento e ricercando da soli la verità, le soluzioni possibili ai problemi, le informazioni.
Da qualche tempo, invece, ho smesso di esortare i ragazzi in questo senso. Qualche giorno fa mi sono ritrovata ad elogiare la figura di Pitagora, che nella propria scuola non dava diritto di parola a chi non sapeva. E ho detto loro senza troppi giri di parole che se non conoscono a sufficienza un argomento, devono imparare a stare zitti e ad ascoltare.
Forse è perché mi guardo intorno e a perdita d'occhio vedo i danni che il "pensare con la propria testa" fa. Specie da quando il "pensare con la propria testa" è stato accompagnato dalla possibilità di laurearsi su Google.
Esistono teste bacate, poco alfabetizzate, incapaci di scegliere le proprie fonti di informazione, di usare gli strumenti logici minimi che consentano loro di compiere un ragionamento corretto.
E poco democraticamente ormai penso che queste teste dovrebbero smetterla di pensare "mentula canis modo", trincerandosi dietro la libertà di parola e di opinione, e avere l'umiltà di tacere, ascoltare e lasciar prendere le decisioni importanti a chi ne sa di più.
E. L.
Quello non è pensare ma è parlare a sproposito....riflettere prima di citare Pitagora, il quale peraltro si limitava alla geometria
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