C'è un passo bellissimo tratto dal romanzo "Il Conte di Montecristo": si tratta di una conversazione che si svolge in carcere tra due detenuti d'eccezione, Edmond Dantès, il protagonista, e l'abate Faria.
I due sono costretti a trascorrere anni nello stesso penitenziario, entrambi condannati ingiustamente. Edmond è un marinaio promosso a comandante poco rima dell'arresto; l'abate è un coltissimo religioso italiano.
Edmond desidera imparare il più possibile da lui e gli chiede: "Voi dovreste insegnarmi un poco di quanto sapete, non fosse altro che per non annoiarvi con me."
La conversazione prosegue:
“Due anni!” disse Dantès. “Credete che io possa imparare tutte queste cose in due anni?”
“Nella loro applicazione no; nei loro principi sì. L’imparare non è lo stesso che sapere: vi sono gli eruditi e gli scienziati, la memoria forma i primi, la filosofia i secondi.”
“Ma la filosofia non si può imparare?”
“La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica.”
Ecco, l' "imparare non è lo stesso che sapere". Alexandre Dumas "padre" è in grado, già nel 1844 (anno in cui il romanzo iniziò ad uscire a puntate), di insegnarci una massima sull'apprendere: una cosa è l'erudizione, vale a dire la somma di fatti, concetti, curiosità, memorizzati e immagazzinati.
Altra cosa è la sapienza, che trasforma la conoscenza in cultura, e sapienza vuol dire "ciò che ha il sale, ciò che dà sapore".
L'erudizione, insomma, è una conoscenza quantitativa, la sapienza è qualitativa.
E c'è un altro passaggio molto interessante: come si coltiva la sapienza? Dumas risponde in modo lapidario: con la filosofia:
“La filosofia non s’impara, la filosofia è la riunione delle scienze imparate nel genio che le applica.”
Ecco, che genere di filosofia è mai questa?
Si tratta dello sguardo della conoscenza sul TUTTO, si tratta della ricomposizione dei saperi, dopo averli frammentati, verso una conoscenza complessiva della realtà, e non è affatto detto che arrivi mai o che arrivi in modo definitivo.
La sapienza porta alla ricerca di uno sguardo coerente e generale sul mondo, e questo è un approccio squisitamente filosofico che spesso manca al nostro "fare scuola" quotidiano.
Il rischio delle nostre scuole è la settorializzazione, la parzializzazione della conoscenza. È come se insegnassimo ai nostri studenti questa o quella strada senza metterli in condizione di leggere le carte geografiche e le mappe in modo da orientarsi da sé in ogni ambiente, in ogni territorio. È come, ancora, se fornissimo loro costantemente della farina senza insegnare invece le pratiche per coltivare il grano.
La sapienza è uno sguardo dall'alto sulla realtà, è il tentativo filosofico di tenere insieme le parti, lo sforzo di trovare leggi universali, la "riunione delle scienze imparate". È la sintesi dei saperi in un orizzonte di senso (ammesso che ci sia). E quello che la scuola e, peggio ancora, le università - spesso frammentate in settori, in specializzazioni, in ambiti di indagine - non fanno è proprio uno sforzo di sintesi.
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